DEFINIZIONE DI INSONNIA

L’insonnia è definita come la ripetuta difficoltà ad iniziare, mantenere o consolidare il sonno e/o  come la compromissione della qualità del sonno stesso che avvengono nonostante tempo ed opportunità di addormentamento siano adeguate.

Secondo il “Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders” l’insonnia viene definita clinicamente come:

1)l’ insoddisfazione della quantità o qualità del sonno, con uno o più dei seguenti sintomi:

– Difficoltà ad iniziare il sonno
– Difficoltà a mantenere il sonno, con frequenti risvegli o difficoltà a riprendere il sonno
– Risveglio al mattino presto con impossibilità di riprendere il sonno

2) Il disturbo del sonno che causa significativo distress o altera almeno una delle seguenti  attività quotidiane: 
– Fatica o riduzione di energia
– Sonnolenza diurna
– Difficoltà a mantenere la concentrazione, l’attenzione o la memoria
– Disturbo dell’umore
– Difficoltà al comportamento quotidiano
– Alterazione delle normali attività quotidiane
– Alterazione delle normali attività sociali
– Influenza negativa riguardo i comportamento con il caregiver o la famiglia

3)un disturbo del sonno che perdura almeno 3 notti a settimana, presente per almeno 3 mesi, e che avviene nonostante vi siano adeguate occasioni per dormire

FISIOPATOLOGIA

L’insonnia spesso rappresenta il risultato dell’interazione tra fattori biologici, fisici, psicologici e ambientali. Nonostante un periodo transitorio di cattiva qualità del sonno possa colpire qualsiasi persona, l’insonnia vera e propria che perdura nel tempo sembra potersi sviluppare solo in uno specifico sottogruppo di persone che dimostrano una particolare predisposizione.

Ad evidenza di ciò è stato dimostrato come soggetti affetti da insonnia per lungo tempo abbiano:

-maggiore incidenza di depressione e ansia
-aumentato periodo di latenza del sonno
-metabolismo giornaliero aumentato
-maggiore variazione del sonno tra “notte e notte”
-attività beta all’elettroencefalogramma più rappresentata durante il sonno (un pattern osservato maggiormente durante processi di memorizzazione ed attività)
-aumento del consumo globale di glucosio al riscontro PET durante la transizione “veglia—> addormentamento”

In modelli da esperimento, soggetti sani sottoposti a deprivazione di sonno non hanno dimostrato le stesse anormalità nel metabolismo, nel sonno e nella personalità rispetto ai soggetti affetti da insonnia. Tuttavia se a questi soggetti veniva somministrata caffeina causando uno stato di ipereccitazione, il pattern metabolico, di sonnolenza diurna  e di personalità assumeva caratteristiche del tutto simili a quelle dei soggetti affetti da insonnia.

A maggior sostegno della tesi dell’”ipereccitazione” si è visto come pazienti affetti da insonnia abbiano:

-aumento delle frequenze rapide durante il sonno NREM (il quale rappresenta un segno all’elettroencefalogramma di aumentata eccitazione cerebrale)
-ridotta disattivazione delle regioni sonno/veglia durante il sonno NREM
-aumento della temperatura  corporea-aumento del cortisolo urinario-aumentata secrezione di adrenalina
-aumentati livelli di ACTH.

Questi risultati sembrerebbero supportare la teoria che il cattivo o assente  riposo notturno potrebbe non essere la causa delle disfunzioni diurne, ma banalmente la manifestazione notturna di un disturbo più generalizzato.

Il modello di Spielman

Il modello di Spielman dell’insonnia cronica parla di 3 componenti fondamentali: fattori predisponenti (genetici o familiari), fattori precipitanti (depressione, stress, ansia, condizioni lavorative o mediche ecc) e fattori perpetuanti (eccessiva preoccupazione per la qualità del sonno o per il sonno perso, sonnellini pomeridiani ecc). In accordo con questo modello i fattori predisponenti potrebbero essere la causa di occasionali episodi di insonnia, ma in generale questi soggetti hanno un corretto ritmo sonno-veglia fino a quando un evento precipitante (es. decesso di un caro) causa l’insorgenza acuta di insonnia. Se questa situazione si protrae nel tempo a causa di fattori perpetranti legati a cattive abitudini, l’insonnia diventa cronica e persiste nonostante la rimozione del fattori precipitante che l’ha scatenata.

 

EPIDEMIOLOGIA

In diversi studi le donne hanno riferito problemi di insonnia 1,4 volte maggiori rispetto agli uomini. Dati epidemiologici ci indicano come il 40% delle donne di età compresa tra 40 e 55 anni abbiano disturbo del sonno. L’insonnia protratta e cronica ha un frequenza età correlata ed è verosimilmente più rappresentata nell’età avanzata. La sua prevalenza aumenta dal 25% nella popolazione adulta a quasi il 50% nella popolazione anziana. Circa il 50% di coloro con diagnosi di insonnia hanno un disordine psichiatrico, e  più frequentemente un disturbo dell’umore (depressione maggiore) o un disordine di ansia (disturbo di ansia generalizzato o disordine post-traumatico da stress). Diverse patologie risultano spesso associate all’insonnia, in particolar modo quelle che causano riduzione del respiro, dolore, nicturia, disturbi gastrointestinali o limitazione nella mobilità. L’insonnia primitiva, ovvero quella che non dimostra altre cause scatenanti di tipo secondario, rappresenta solo il 15% circa del totale delle cause.

Approssimativamente una persona su due di quelle che presentano sintomi severi hanno un andamento cronico. Il sintomo più comune è la difficoltà a mantenere il sonno (circa il 61% dei pazienti con insonnia), seguito dal risveglio precoce mattutino (52%) e dalla difficoltà nell’addormentamento (38%). Da notare come  in circa la metà delle persone con insonnia vi siano almeno 2 di questi sintomi. Queste tipiche manifestazioni sovente cambiano nel tempo, ovvero una persona che inizialmente ha difficoltà ad addormentarsi può presentare successivamente difficoltà a mantenere il sonno, e viceversa.

PERCHE’ TRATTARE L’INSONNIA?

Il disturbo del sonno causa significativo distress e altera le normali attività quotidiane e questo è evidenti a tutti. L’insonnia prolungata però è anche risultata  da alcuni studi fattore di rischio indipendente per alcune specifiche patologie. Una metanalisi di più di 20 studio di Baglioni C. et al ha concluso come l’insonnia persistente sia associata con raddoppio del rischio di incidenza di depressione maggiore. Come citato nell’articolo “Insomia Disorder” di John W. Et. Al del New England Journal of Medicine (2015) associazioni sono state anche riportate con un maggior rischio di IMA e CAD, scompenso cardiaco, ipertensione, diabete e morte, soprattutto se l’insonnia è accompagnata da una durata del sonno inferiore alle 6h per notte.

VALUTAZIONE

La valutazione clinica dell’insonnia necessita di una raccolta dei sintomi notturni e diurni,la loro durata, e la loro associazione temporale con elementi stressogeni psicologici e fisiologici. L’insonnia presenta molte manifestazioni, per cui è necessaria una completa valutazione che includa una anamnesi medica e psichiatrica, così come la valutazione di patologie che si associano specificatamente ai disturbi del sonno (es. OSAS o sindrome delle gambe senza riposo). E’ necessario richiedere al paziente comportamenti nelle ore precedenti all’addormentamento, ed ogni possibile elemento notturno che possa portare al risveglio ed interferire con il sonno. Mantenere per 2-4 settimane un diario del sonno che riporti l’ora in cui si va a letto, qualunque risveglio notturno ed il risveglio finale, può aiutare ad indentificare pattern irregolari di sonno.

NB: La polisonnografia non è indicata nella valutazione dell’insonnia a meno che non si sospetti OSAS o  altre patologie specifiche.

 

Nell’inquadramento dell’insonnia è  anche fondamentale:

1)somministrare il seguente questionario per comprendere la qualità del sonno notturno del paziente ed il livello di sonnolenza diurna:

Epworth sleepiness scale in italiano LINK 

2)far compilare al paziente eventualmente facendosi aiutare da un caregiver un diario del sonno di almeno due settimane

DIARIO DEL SONNO COMPLETO SCARICABILE in formato PDF al LINK 

 

3) raccogliere la storia farmacologica del paziente facendo attenzione ai farmaci insonnia-correlati come Beta bloccanti, Clonidina, Teofillina (in particolare in acuto), Antidepressivi (in particolare fluoxetina), decongestionanti, OTC e rimedi erboristici.

GESTIONE TERAPEUTICA

TERAPIA COMPORTAMENTALE COGNITIVA (TCC)

La TCC è considerata la terapia di prima linea nel trattamento dell’insonnia. Viene usualmente effettuata singolarmente o in gruppo, per una durata di circa 6-8 incontri ed i benefici generalmente perdurano per circa 6-12 mesi (durata dimostrata superiore rispetto per esempio alla terapia con benzodiazepine dopo interruzione). L’aderenza alla TCC non è ottimale nella pratica clinica  probabilmente perché viene richiesto un importante cambiamento nelle proprie abitudine (es. riducendo il tempo speso a letto ed alzandosi dal letto appena svegli) e l’ efficacia della terapia si manifesta solo dopo diverso tempo in attesa del quale vi sono spesso piccoli miglioramenti globali. Questo alimenta il  pessimismo verso tali approcci da parte del paziente.

Elementi di terapia comportamentali cognitiva

Restrizione di sonno: stabilizzare il ritmo circadiano, riducendo il tempo in cui si rimane a letto
Controllo degli stimoli: ridurre  gli elementi disturbanti e promuovere l’associazione tra letto e sonno
Terapia cognitiva:  sfatare credenze sbagliate riguardo  alle conseguenze sulla salute dell’insonnia mantenendo aspettative ragionevoli
Terapia rilassante: esercizi di meditazione o respiro
Igiene del sonno: limitare l’uso di caffeina ed alcool, tenere il letto al buio ed in ambiente silenzioso, evitare riposi diurni o serali, aumentare l’attività fisica (non troppo ravvicinato al momento del riposo), rimuovere orologi nella stanza da letto.

 

TERAPIE FARMACOLOGICHE

 

IPNOTICI NON BENZODIAZEPINICI: non sono strutturalmente delle benzodiazepine ma si legano ai recettori di queste ultime. Tutti riducono la latenza del sonno e sono approvati per l’uso nei pazienti con insonnia da addormentamento ed alcuni hanno dimostrato minore tolleranza rispetto agli agonisti benzodiazepinici.

Zopiclone: Primo ipnotico non benzodiazepinico ad essere utilizzato nella clinica. L’emivita di 5-7 h (intermedia) rende minimo l’accumulo dopo somministrazioni ripetute e minimi gli effetti residui al risveglio. Una sua peculiarità è quella di indurre “sapore metallico”. Utile sia come farmaco di “addormentamento” che principalmente come farmaco di “mantenimento” ha dimostrato basso potenziale di abuso. Data la scarsa tolleranza gli effetti terapeutici si sono rivelati prolungati (6-12 mesi) pur mantenendo un dosaggio costante. Picco plasmatico 1,5-2h. DOSE standard: 7,5 mg

Zaleplon: la farmacocinetica di questo farmaco ha due importanti e peculiari caratteristiche: l’assorbimento e l’eliminazione sono rapidissimi determinando un veloce inizio dell’attività farmacologica (1 h) e una totale assenza di effetti residui il giorno seguente. Non avendo metaboliti attivi l’emivita è brevissima (1h) . Queste caratteristiche lo rendono molto utile per le insonnie da addormentamento e per i risvegli notturni (se il risveglio mattutino è previsto almeno dopo 4h). L’efficacia di zaleplon si mantiene per 12 mesi. Non è risultato adatto in soggetti tolleranti alle benzodiazepine. DOSE standard: 10 mg.

Zolpidem: sebbene gli effetti di questo farmaco siano legati ad una interazione con il recettore delle benzodiazepine  questa molecola possiede una attività sedativo-ipnotica a dosi molto inferiori rispetto  a quelle necessarie per ottenere un effetto anticonvulsivante e miorilassante. Lo zolpidem ha scarsa tendenza ad indurre tolleranza anche dopo uso prolungato  ma sviluppa dipendenza in modo simile alle benzodiazepine. Avendo un’emivita di 2,5 h, è molto utile per le insonnie di addormentamento e non causa sedazione mattutina. Zolpidem compresse sublinguali a basso dosaggio è l’unico approvato come farmaco per i risvegli notturni se il risveglio mattutino è previsto almeno dopo 4h. Picco plasmatico 1,5 h. DOSE standard: 10 mg.
NB: Zolpidem, zopiclone ed in minima parte lo Zaleplon sono metabolizzati dal  CYP3A4.

IPNOTICI BENZODIAZEPINICI: a dosaggi opportuni producono effetti sedativo-ipnotici di intensità sufficiente a facilitare il sonno. In particolare questi farmaci diminuiscono il tempo necessario all’addormentamento (latenza), aumentano la durata totale del sonno e riducono drasticamente la durata dei microrisvegli (periodi di risveglio parziale che durano solo pochi secondi e di cui il paziente è ignaro). La scelta di una benzodiazepina particolare in questi disturbi è basata su criteri farmacocinetici.

 

Ai pazienti che faticano ad addormentarsi ed a quelli che devono essere vigli durante il giorno è consigliabile la somministrazione di benzodiazepine a breve durata d’azione:

Triazolam : emivita 1,5-5,5 h, picco plasmatico 0,5-2 h . DOSE standard: 125-250 mcg.
Brotizolam: emivita 3-8 h,  picco plasmatico 45 min. DOSE standard: 0,25 mg.

 

Le molecole con emivita intermedia sono più adatte a soggetti che lamentano risvegli mattutini precoci:

Temazepam: emivita 9,5-12,4 h, picco plasmatico 2-3 h. DOSE standard: 10-20 mg
Estazolam: emivita 10-24 h, picco plasmatico 0,5-1,6 h. DOSE standard: 0,5-2 mg
Lorazepam: emivita 14 h, picco plasmatico  2 h. DOSE standard:  1-2,5 mg
Bromazepam: emivita 20,1 h, picco plasmatico 1,2 h. DOSE standard:  1,5- 3 mg.

 

Le molecole con emivita lunga andrebbero riservate ai pazienti con concomitante ansia diurna:

Diazepam: emivita  20-70 h, picco plasmatico 30-90 min. DOSE standard: 2-5 mg.
Flurazepam: emivita 48-120 h, picco plasmatico 0,5-3 h . DOSE standard: 15-60 mg
Nitrazepam: emivita 25-300 h, picco plasmatico 40-80 min . DOSE standard: 5 mg
Flunitrazepam: emivita 15-30 h, picco plasmatico 0,75-2 h . DOSE standard: 0,5-1 mg
Delorazepam: emivita 100 h, picco plasmatico 45-min1,5 h. DOSE standard: 0,5-1 mg
Clobazam: emivita >42h, picco plasmatico 0,5-4h. DOSE standard: 10 mg
Ketazolam: emivita 48h,picco plasmatci 3h. DOSE standard: 15-75 mg

La maggior parte di queste molecole ad eccezione di alcune (come lorazepam e temazepam) sono metabolizzate totalmente o in parte  a livello del CYP3A4.
 

NB: Per tutti questi farmaci n caso di sospensione, è indicata una riduzione graduale e supervisionata (es. circa il 25% della dose di partenza ogni 2 settimane).

ATTENZIONE!

 principali induttori del CYPA34 che quindi ridurranno l’efficacia di questi farmaci sono:  rifampicina, carbamazepina, fenobarbital,fenitoina, hypericum, glucocorticoidi (desametasone)
principali inibitori che ne aumenteranno gli effetti sono : macrolidi (claritromicina, eritromicina), antifungini azolici (itraconazolo,ketoconazolo,fluconazolo) ciprofloxacina, metadone, succo di polmpelo, antidepressivi (fluoxetina,paroxetina, sertralina, venlafaxina), cimetidina.

MELATONINA: ormone secreto fisiologicamente dalla ghiandola pineale. La concentrazione di questa molecola è maggiore nel sangue durante il sonno notturno e minore durante la veglia diurna.

Molti studi riguardo alla melatonina hanno una durata limitata e le evidenze sono risultate conflittuali. Tuttavia sembrerebbe fondamentale la tempistica con cui questo ormone viene somministrato al fine di ottenere  l’effetto biologico. La somministrazione da 30 minuti prima fino a 2 ore per le compresse a rilascio modificato (uniche disponibili in Europa) sembrerebbe l’unica modalità in grado di garantire una probabile efficacia. La melatonina assunta al momento di coricarsi non ha dimostrato successo terapeutico. In uno studio del 2010 Wade et al hanno ottenuto risultati nella riduzione della latenza del sonno e nella durata totale in soggetti con più di 65 anni per un tempo pari a 6 mesi. Per questi motivi la melatonina nell’insonnia è indicata in soggetti con età superiore a 55 anni. DOSE standard: 2 mg.

CURIOSITA‘: Il ramelteon è un agonista del recettore della melatonina recentemente approvato dalla FDA per il trattamento dell’insonnia non disponibile in Italia.

 

Farmaci off-label per l’insonnia

Antidepressivi (trazodone, mirtazapina, amitriptilina): L’uso di antidepressivi con effetto sedativo per trattare l’insonnia trae vantaggio dall’attività antistaminergica, anticolinergica, serotoninergica e adrenergica di questi principi attivi. Alle basse dosi con cui vengono comunemente usati per l’insonnia, hanno scarso effetto antidepressivo o ansiolitico. Benchè le evidenze a supporto di questi agenti farmacologici non siano vaste, il trazodone è usato come agente ipnoinducente in circa il 1% degli adulti americani, generalmente ad un dosaggio dai 25mg ai 100mg. La mirtazapina presenta efficacia antidepressiva ed ansiolitica alle dosi usati per l’insonnia e rappresenta ragionevolmente la prima opzione per i pazienti con patologie coesistenti; bisogna ricordare che la mirtazapina può determinare incremento ponderale.

Antipsicotici (quetiapina , ziprasidone e olonzapina): efficaci per l’insonnia ma gli effetti collaterali importanti e relativamente frequenti rendono difficoltoso l’uso di questo farmaco per il trattamento esclusivo.

NB: spesso sono necessari piani terapeutici per la prescrizione

 

Terapia negli anziani

La qualità e quantità di sonno declinca con l’avanzare dell’età. Questo risulta probabilmente correlato a meccanismi fisiologici dell’invecchiamento quali la diminuzione del sonno ad onde lente (“sonno profondo”),  con conseguente facile risvegliabilità e difficoltà a riprendere sonno. A questo si aggiunge l’abitudine a svegliarsi molto presto al mattino e ad addormentarsi altrettanto presto la sera, intervallando riposi pomeridiani. Nonostante queste premesse l’invecchiamento non può essere assunto a priori come la spiegazione dell’insonnia.
Infatti molti fattori possono compromettere il sonno nell’anziano: nicturia, sindromi dolorose, scompenso cardiaco, BPCO, Parkinson, sleep apnea (frequenza aumentata in età avanzata), rest leg syndrome , demenza, ansia o depressione.
Come nei giovani i trattamenti non farmacologici dovrebbero avere precedenza su qualsiasi altro tipo di terapia. In Accordo con le linee guida AASM del 2008 la terapia cognitivo comportamentale ha dimostrato efficacia anche in questa fascia di età, in particolare l’attività aerobica e l’igiene del sonno hanno dato ottimi risultati. Se necessario prescrivere una terapia farmacologica, gli ipnoinducenti dovrebbero essere usati sempre partendo da dosi ridotte, mai dalle dosi standard per gli adulti sani. I farmaci di questa categoria tendono ad avere un effetto a maggiore durata d’azione negli anziani a causa dei cambiamenti fisiopatologici nel metabolismo e nei processi di eliminazione dell’anziano. Dati epidemiologici ci dimostrano infatti come il tasso di fratture ed incidenti domestici notturni negli anziani sopposti a terapie di questo tipo (es. durante uso del bagno) risultino molto più alti rispetto a controlli non trattati con ipnoinducenti. Parimenti il prolungarsi anomalo degli effetti anche nelle ore diurne risulta molto a rischio di compromissione delle performance dell’anziano, comprese quelle di guida dei veicoli.

 

AUTORE

Daniele Angioni, Antonio Gabriele Bonagura

 

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