Un collega ci ha posto il seguente quesito:

Lavoro in Continuità Assistenziale e vorrei optare per il regime fiscale libero professionale per poter usufruire delle agevolazioni previste dalla recente legge di bilancio (c.d. regime forfettario), ma l’ASL mi ha risposto che la Continuità Assistenziale è equiparata fiscalmente a lavoro dipendente. Mi risulta però che in altre Regioni i medici con incarico a tempo determinato siano assunti a partita iva. Chi ha ragione?

La nostra risposta:

Caro Collega,

la circolare 326 del 23 dicembre 1997 dell’Agenzia delle Entrate chiarisce che “gli elementi definitori del reddito di lavoro dipendente sono mutuati dall’art. 2094 c.c. che qualifica prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga, mediante retribuzione, a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale, alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. Tale posizione viene successivamente esplicitata nell’oggetto della risoluzione 14 del 5 febbraio 1999 dell’Agenzia delle Entrate secondo cui il reddito percepito dal medico di Continuità Assistenziale è inquadrato come assimilabile a dipendente.

Successivamente, l’Agenzia delle Entrate del Piemonte, in risposta a un quesito dell’Associazione dei Consulenti del Lavoro, ha specificato nel 2014 che il regime fiscale attribuito ai medici di Continuità Assistenziale dalla risoluzione 14/1999 è da applicarsi a prescindere dal tipo di rapporto – a tempo indeterminato o determinato – in quanto persiste anche nel tempo determinato la prestazione di lavoro “alle dipendenze e sotto la direzione di altri” “in una posizione di subordinazione per ragioni di organizzazione e divisione del lavoro”. E’ infatti evidente che elementi contrattuali a carico delle ASL quali la predisposizione dei turni, il reperimento di eventuali sostituti, la fornitura di fattori di produzione dell’assistenza quali la sede, i farmaci, l’automobile di servizio rendono il medico di C.A. differente dal medico di famiglia in termini di autonomia organizzativa.

FIMMG da anni, a tutti i livelli, sta lavorando affinché il medico di C.A. possa definirsi realmente libero professionista, ma questo potrà avvenire solamente a seguito di una “rivoluzione contrattuale” il cui il settore si affranchi dalla subordinazione investendo in responsabilità organizzativa, senza intaccare però l’attuale reddito professionale che, oggi, non è gravato da spese di gestione. E’ un processo lento e difficile su cui il rinnovo dell’ACN potrà dare le prime risposte.

Nel frattempo, a fronte dell’evidente svantaggio fiscale per i medici che restando nei limiti di reddito di 65.000 euro avrebbero beneficiato dell’inserimento della quota della CA nella libera professione, c’è anche da rilevare che l’assimilazione a dipendenza è invece vantaggiosa per chi ha ricavi libero professionali prossimi ai 65.000 euro del forfettario (o dal 2020 ai 100.000 della flat tax) ma che oltrepasserebbero tali soglie se dovessero sommarvi i ricavi da Continuità Assistenziale. E’ il caso, per esempio, di molti medici con doppio ruolo di medicina generale.

La risposta dell’Agenzia delle Entrate del Piemonte, che trovi in allegato, è valida su tutto il territorio nazionale e chi non la applica può incorrere in pesanti sanzioni in caso di accertamento tributario.

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