Molte cose sono cambiate dalla fine degli anni 70 e in particolare moltissime cose sono cambiate con l’entrata in vigore del nuovo Accordo Collettivo Nazionale (ACN) per la Medicina Generale del 23 marzo 2005 rispetto alla definizione del ruolo di Medico di Continuità Assistenziale. Nell’arco degli anni che vanno dal ’70 ad oggi, a dispetto di fonti normative che determinavano una sorta di dicotomia evolutiva del servizio di Guardia Medica nei servizi di Continuità Assistenziale e di Emergenza Territoriale, non si assisteva ad una rivalutazione delle fonti contrattuali per la Continuità Assistenziale.

Questo produceva il risultato di aver evoluto il sistema, anche rideterminando le piante organiche attraverso fenomeni di conversione occupazionale della ex  Guardia Medica nel Sistema di Emergenza 118, ma di aver mantenuto per intero per uno dei due nuovi Servizi, la Continuità Assistenziale appunto, i compiti della vecchia contrattualità riferiti alla Guardia Medica. Il Medico di Continuità Assistenziale rimaneva dunque responsabile di una copertura assistenziale non ben delimitata nell’ambito del sistema dell’emergenza-urgenza e quindi legato a un concetto assistenziale di guardia medica piuttosto che alla ricerca di un ruolo più propriamente riferito alla continuità di assistenza nei confronti dei cittadinipazienti in carico alle Cure Primarie.

Tale situazione ha determinato, nell’arco degli ultimi anni, molte delle difficoltà operative e di organizzazione del Servizio di Continuità Assistenziale, difficoltà che trovano la massima espressione proprio nella partecipazione a processi di assistenza riferiti a fenomenologie di urgenza-emergenza. Poco, infatti, veniva prodotto nella definizione di protocolli operativi per l’attivazione della Continuità Assistenziale da parte delle Centrali Operative del 118 e nulla, o quasi, sulla definizione di processi di triage, anche telefonico, del medico di Continuità Assistenziale rispetto alle richieste dell’utenza riferibili alla suddetta area di urgenza-emergenza e dei consequenziali meccanismi di attivazione del Sistema 118. Il nuovo ACN per la Medicina Generale, nei limiti imposti dalle Leggi sul decentramento amministrativo e organizzativo della Pubblica Amministrazione che trovano la massima espressione proprio in quello che concerne la sanità, prova a definire un LEA per la Continuità Assistenziale partendo proprio dalle suddette considerazioni e ricerca i possibili meccanismi per definire un ruolo del medico di Continuità Assistenziale tracciando i seguenti capisaldi:

  • Responsabilità di uno specifico livello assistenziale
  • Definizione dell’ambito di assistenza
  • Percorsi organizzativi con l’Assistenza Primaria
  • Risposta assistenziale riferita a prestazioni non differibili
  • Appropriatezza degli interventi
  • Linee guida nazionali e regionali sui protocolli operativi
  • Partecipazione ai processi assistenziali tipici delle Cure Primarie
  • Funzioni assimilabili all’Assistenza Primaria nell’ambito delle forme assistenziali funzionali e/o strutturate delle Cure Primarie
  • Sinergie operative di complementarietà tra l’Emergenza Territoriale e l’Assistenza Primaria

Appare chiaro come, nell’ambito del territorio, venga rivalutata la figura del Medico di Continuità Assistenziale non solo per le specifiche competenze (assistenza di base riferita al periodo notturno, prefestivo e festivo) ma soprattutto come chiave di lettura di possibili sviluppi organizzativi.  In particolare si riconosce una specifica competenza assistenziale al medico di Continuità Assistenziale e contrariamente a quanto precedentemente affermato contrattualmente si riconosce la responsabilità di tale processo assistenziale in maniera esclusiva ai convenzionati per tale Servizio.

Tale competenza, nei limiti di una ricerca che dovrà portare a un pieno riconoscimento di tale definizione, trova piena espressione nella identificazione quale compito del servizio di Continuità Assistenziale di assicurare le prestazioni non differibili, dove per prestazioni non differibili si intendono esigenze cliniche, psicologiche, sociali e organizzative che richiedono un intervento medico finalizzato a una soluzione del caso contingente entro l’arco temporale del turno di servizio. Alla luce di tale definizione, infatti, si riconosce un compito proprio delle Cure Primarie e cioè un processo di assistenza  che riguardi la persona e non il sintomo o la patologia e realizzi un sistema sanitario territoriale di reale continuità dell’assistenza.

Attraverso i processi organizzativi ed associativi delle funzioni e/o delle operatività dei Medici di Continuità Assistenziale e dei Medici di Assistenza Primaria, e cioè le équipe territoriali e le Unità Territoriali di Assistenza Primaria (UTAP), saranno possibili particolari progetti di cure domiciliari d’eccellenza, individuando un condiviso punto d’accesso per facilitare le richieste dei pazienti e un condiviso sistema di valutazione dei bisogni per omogeneizzare l’erogazione dei servizi. Questi sistemi potranno prevedere l’organizzazione di una rete informativa che, con software specifici o con l’evoluzione di quelli già presenti nel Sistema di Cure Primarie, possa gestire l’iter della domanda fino alla definizione di un protocollo di assistenza coinvolgente tutti gli operatori sia interni sia esterni alle Cure Primarie (Medici di Assistenza Primaria, di Continuità Assistenziale, Emergenza Sanitaria, Dirigenza Medica Territoriale, Specialistica Ambulatoriale, Ospedale).

Tali progetti dovranno prevedere una stretta partnership nell’ambito sanitario, con una organizzazione territoriale di Servizi di Assistenza (UTAP) che centralizzi in un’unica sede territoriale i protocolli assistenziali e dove si proceda alla pianificazione e alla erogazione dei servizi nel territorio attraverso l’utilizzo di applicazioni informatiche e meccanismi di sviluppo associativo delle  figure territoriali che permetteranno, oltre alla pianificazione, il costante controllo di tutte le attività erogate nel territorio. Tali realtà potranno facilmente condividere anche protocolli operativi e relazionali con le centrali operative del sistema 118, atti ad offrire il migliore controllo dei pazienti, e potranno essere in grado di erogare anche servizi di teleassistenza e telemedicina per i pazienti più complessi sia per evitare inutili spostamenti in ambiti territoriali particolarmente difficili, sia per definire percorsi di assistenza appropriati anche nell’utilizzo delle risorse indirizzate all’urgenza-emergenza.

Tali strutture assistenziali potranno affrontare l’esigenza di creare in un ambito logistico estremamente complesso un sistema di cure domiciliari efficace ed omogeneo, che possa offrire a ciascun paziente la stessa qualità di servizio indipendentemente dalla sua collocazione nel territorio, oltre che sviluppare un’ADI orientata a curare a domicilio pazienti complessi, dove questo intervento fosse realmente sostitutivo dell’ospedalizzazione o comunque del ricovero in una istituzione residenziale. Saranno possibili metodi di valutazione dei bisogni del paziente con i quali rendere omogeneo il criterio di inserimento dei pazienti nei processi di assistenza e d’altra parte sarà possibile valutare, in modo preciso e codificabile con indicatori condivisi, se il paziente possa essere inserito nei servizi di assistenza domiciliare o se la sua necessità di assistenza sia tale da rendere più economico il ricovero o altra soluzione assistenziale (RSA, Centro Diurno).

Quanto descritto mostra come l’approccio organizzativo strutturato delle Cure Primarie potrà migliorare l’accesso dei pazienti ai servizi sanitari di vario livello, compreso quello per gli acuti e, soprattutto, permetterà quella omogeneizzazione del servizio che rappresenta il primo passo verso l’integrazione quando si sviluppano sistemi di assistenza complessi Territorio-Ospedale. In particolare, la condivisione delle attività assistenziali dei vari servizi permetterà un netto miglioramento nella selezione della popolazione da assistere al domicilio con incremento della complessità clinica. Tale sistema strutturato di Cure Primarie potrà determinarsi anche in assenza di strutture adibite specificamente,  poiché si potranno ottenere sostanzialmente gli stessi obiettivi attraverso una organizzazione funzionale dell’assistenza territoriale che possa prevedere uno sviluppo dei compiti del Medico di Continuità Assistenziale attraverso un’attribuzione di funzioni sempre più coerenti con le attività della Medicina di Famiglia.

Lo sviluppo di sistemi informatici, e quindi di una rete territoriale, potrà determinare, nelle zone a maggiore concentrazione di popolazione, la possibilità di un dato fruibile in rete relativo al paziente con una migliore assistenza riferita per tutti i servizi territoriali come pure la condivisione in tempo reale di progetti assistenziali riferiti a pazienti cosiddetti “fragili”.

Appare, infine, chiaro come l’affrancarsi di professionalità riferite alle cure primarie, una con un rapporto fiduciario a quota capitaria e l’altra con un’applicazione a regime orario, permetta una flessibilità del sistema con una piena copertura oraria, nella ricerca di sistema sanitario che garantisca la gestione del territorio nell’ambito delle 24 ore. In particolare potrà essere consolidato il rapporto dei pazienti con il servizio di Continuità Assistenziale, con un miglioramento dell’appropriatezza delle richieste e con una riduzione consequenziale delle richieste inappropriate ad altri servizi. Il ruolo dei Medici di Continuità Assistenziale di interconnessione tra l’area delle Cure Primarie e quella dell’Emergenza Urgenza ai fini di un miglioramento dell’efficienza della rete territoriale e di una massima integrazione con quella ospedaliera, con conseguente arricchimento del circuito professionale dell’Emergenza e della Medicina di Famiglia, viene garantito con collegamenti con i medici di Assistenza Primaria e con un pieno impegno nella gestione dei processi propri delle cure primarie.

Diventa indispensabile in termini di sviluppo per tale operatività la definizione di:

  • protocolli clinici di intervento con caratteristiche di appropriatezza riferita anche allo sviluppo di un triage territoriale specifico per la Continuità Assistenziale
  • protocolli relazionali con gli altri servizi delle cure territoriali ed in particolare con le centrali operative
  • protocolli formativi specifici riferiti ai nuovi processi organizzativi e condivisi da tutti gli operatori delle cure primarie e del sistema di emergenza urgenza
  • protocolli informativi per la popolazione sull’utilizzo dei singoli servizi alla luce dei nuovi sviluppi e per migliorare lo score di appropriatezza degli interventi erogati
  • protocolli di verifica e revisione qualitativa di ogni singolo servizio soprattutto riferito alla relazione ed al corretto coinvolgimento degli operatori di altri settori.

La definizione dei suddetti aspetti rimane l’obiettivo primario che la medicina del territorio, ma anche quella ospedaliera, si devono porre, insieme alle figure istituzionali preposte, per ricercare una possibile soluzione alle problematiche in essere nella gestione dei percorsi di assistenza sanitaria nel nostro Paese, creando uno strumento di gestione flessibile ed adattabile anche a nuove esigenze che in futuro ci si potrebbero presentare.

Silvestro Scotti, Segretario Nazionale FIMMG Continuità Assistenziale

(da Antonicelli, Maio, Scotti. La Guardia Medica Edizione 2011. Momento Medico Editore)